Le nuove forme di procedimento legislativo introdotte dalla riforma costituzionale sono state al centro del secondo incontro del ciclo “Una Costituzione migliore?” promosso e organizzato dal Cipes – Centro d’Iniziativa Pistoiese per l’Economia ed il Sociale per offrire un contributo ragionato alla discussione pubblica in vista del referendum confermativo del prossimo 4 dicembre.
Due ore intense di “lezione” con il professor Fabio Pacini, docente alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e le domande competenti e puntuali di Riccardo Fineschi, giornalista di TVL a cui è stato affidato il compito di presentare le quattro serate in programma.
Il superamento del bicameralismo paritario è uno dei principali obiettivi proclamati per evitare lungaggini (il problema della cosiddetta “navette”) in sede di produzione delle leggi. In prima battuta, tuttavia, si è osservato che non è tanto la “navette” il problema delle lungaggini quanto la composizione delle due camere, conseguenza diretta della legge elettorale e non della procedura legislativa. Entrando quindi nel merito della riforma, si sono passati in rassegna i vari procedimenti legislativi che si vengono a creare con la profonda modifica dell’articolo 70. Per prima cosa si è osservato che rispetto ad alcune materie il procedimento rimarrà bicamerale. Tra queste materie vi è la revisione della Costituzione: la scelta, se analizzata in relazione alla composizione del nuovo Senato, formato da sindaci e consiglieri regionali perché espressione delle autonomie, non può che creare perplessità, soprattutto pensando al nebuloso passaggio “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”.
Passando poi alle leggi monocamerali, quelle che rappresentano la novità più concreta e che dovrebbero risultare come le più frequenti (secondo una stima del costituzionalista Stefano Ceccanti, propugnatore del Sì, la percentuale si aggira intorno al 95%), il primo problema in cui ci si imbatte riguarda la possibilità del Senato di proporre modifiche: il testo infatti non specifica come debba essere la natura di tali modifiche, se sotto forma di emendamenti o di proposte generiche affidate alla valutazione della Camera.
Si tratta di uno dei tanti aspetti di non facile interpretazione rintracciabili nel testo, atttribuibili con tutta probabilità a compromessi parlamentari raggiunti in sede di discussione della riforma. Ambiguità che aprono il terreno a una serie di interrogativi. Il primo ci proietta direttamente alla prossima legislatura, i cui sforzi è lecito supporre dovranno essere in gran parte rivolti alla gestione della nuova carta costituzionale. Il timore, non infondato se si pensa alla forte contrapposizione che si è venuta a creare tra la maggioranza di governo e le varie opposizioni oggi schierate per il No, è di un atteggiamento ostile al processo di attuazione della riforma da parte del governo in caso di diversa maggioranza alle prossime elezioni politiche.
Rimanendo in tema di leggi monocamerali, e analizzando nella fattispecie i vari casi nei quali il Senato può proporre modifiche, si incontrano una serie di modalità di iniziativa/proposta/approvazione (ordinario, con ruolo rafforzato del Senato, con intervento obbligatorio del Senato, con iniziativa del Senato e altri) che portano ad un aumento dei procedimenti legislativi con conseguente rischio di conflitti di attribuzione, per dirimere i quali non sono previsti meccanismi se non il forzato accordo tra i presidenti delle due Camere. L’eventuale disaccordo tra i due presidenti potrebbe quindi dare luogo ad un numero difficilmente pronosticabile di interventi della Corte Costituzionale.
Il secondo riguarda l’inserimento del voto a data certa: se da una parte è estremamente condivisibile la volontà del legislatore di porre limiti costituzionali all’uso eccessivo dei decreti legge, dall’altra è ragionevole prevedere un largo utilizzo del voto a data certa le cui caratteristiche, per certi aspetti, non si discostano molto dal decreto legge. Ciò conferisce al governo un forte potere di agenda, ma rimanda nuovamente alla Consulta, il cui ruolo sostanziale sembra destinato a gonfiarsi notevolmente rispetto al passato. Con il rischio concreto di affidare le sorti del Paese ad un organo sì costituzionale ma non rappresentativo perché non eletto dal popolo, nemmeno indirettamente.
Anche in questa occasione, domande e osservazioni degli intervenuti hanno dato luogo a interessanti spunti di riflessione che hanno reso il dibattito ancor più stimolante.
Il prossimo appuntamento con “Una Costituzione migliore?” è fissato per mercoledì 9 novembre: il tema sarà “I conti in tasca alla riforma – Sarà vero risparmio?”. Le serate sono aperte a tutti.
Cipes Pistoia
Comunicato stampa