Sabato scorso si è tenuto, nella sala delle conferenze dell’Archivio di Stato in Piazza XX Settembre a Pescia, il convegno “”Una nuova Costituzione per un diverso modello di sviluppo” promosso dall’associazione pesciatina Destra Domani con la collaborazione del CESI (Centro Studi politici ed iniziative culturali) di Roma e dell’Archivio di Stato di Pistoia con il patrocinio del Comune di Pescia.
Nella sala, affollata da un pubblico interessato all’argomento, dopo i saluti della dott.ssa Sandra Marsini, Direttore dell’Archivio di Stato, e Giovanni Gentile coordinatore di Destra Domani sono intervenuti Lorenzo Puccinelli Sannini, Carlo Vivaldi-Forti di Destra Domani e i professori Franco Tamassia e Marco de Medici , vice presidente e segretario del Cesi.
Nel dibattito, tra gli altri, è intervenuto il giovane dott.Luca Celli (candidato alle elezioni comunali nella lista Alleanza per Pescia) con un interessante relazione che ha suscitato unanimi consensi e che pubblichiamo :
“Buona sera a tutti sono Luca Celli, sono nato il 10 Maggio del 1988 e mi interesso di sistemi politici comparati e relazioni internazionali.
Dopo diversi illustri punti di vista, il mio non può che non essere quello relativo al mondo che più mi compete: ovvero il mondo dei giovani che vivono in una società regolata da una costituzione pensata e scritta al tempo dei propri nonni.
La premessa necessaria da fare e che subito detta le linee guida è quella che il rigetto della politica che accomuna la stragrande maggioranza della popolazione (soprattutto i più giovani) è causato da un sistema di governo debole consegnatoci dalla attuale Costituzione, superato dalla storia e bisognoso di revisione.
Del resto le forme di governo, così come gli ordinamenti giuridici di cui sono parte, e come più in generale il diritto, sono fenomeni di natura sociale e come tali sono in evoluzione costante e continua: lenta, in certi casi (al punto da farli apparire immobili), accelerata in altri casi (al punto da rendere difficile studiarli e descriverli prima che siano già cambiati). Il nostro caso forse è da classificare fra i primi, infatti sono passati ormai quasi 70 anni prima che questo sistema italiano potesse considerarsi ampiamente superato, ma giunti a questo punto sta a laboratori di idee come questi promuovere il balzo in avanti di cui abbiamo bisogno.
Ma verso quale direzione fare questo balzo in avanti? La mia risposta è senza dubbio verso un sistema presidenziale con bicameralismo imperfetto con Presidente eletto dal popolo e con funzioni di capo del governo, una camera elettiva e un senato espressione delle regioni.
Nel sistema attuale Il potere esecutivo è soggetto, anzi direi succube del potere legislativo del Parlamento. Di fatto il Governo non può assumere nessuna decisione in autonomia, perfino i decreti devono poi essere convertiti in legge. In pratica non c’è una separazione tra i due poteri. Senza poi contare il complesso quanto schiavo degli equilibri politici iter legis che obbliga l’approvazione del medesimo testo di legge in ogni suo dettaglio di ambedue le camere.
Un Presidente che avesse funzioni di capo del Governo, con più poteri e con la possibilità di decretare su ambiti stabiliti senza passare dal Parlamento, sarebbe sicuramente un capo di governo davvero con potere esecutivo, legittimato dal popolo, quindi più forte e garante di stabilità.
Da qualche anno a questa parte il Presidente della Repubblica è chiamato a un ruolo di supplenza sempre maggiore ai partiti e al governo incapaci con le loro forze di dare vita a maggioranze stabili che dessero vita a governi solidi e in grado di operare riforme degne di questo nome ecco perché proporrei l’elezione diretta del capo dell’esecutivo (eletto dal 50% +1 dei cittadini) che darebbe la legittimità necessaria per l’azione di governo nazionale e per far sentire maggiormente la nostra voce in campo comunitario.
Tuttavia è bene dire anche che l’Italia così com’è oggigiorno, con una sempre minore coesione sociale e una imperante disaffezione alla politica non è pronta ad eleggere il Presidente per via diretta. Soprattutto i conflitti d’interesse imperanti sullo scenario politico rendono la scelta del presidenzialismo un azzardo che potrebbe portare più rischi che vantaggi. Sebbene infatti un sistema elettorale a doppio turno garantirebbe che il presidente sia della maggioranza dei votanti (ma non degli elettori) , l’assenza di un giudice ultimo delle contese politiche renderebbe Roma ancor più fragile nelle situazioni di crisi, economica e politica, come quella che stiamo vivendo. La nostra società non vanta certo infatti l’invidiabile coesione e sentimento nazionale degli Stati Uniti d’America.
Due parole le merita anche la necessità di rivedere il sistema parlamentare. Mentre infatti rimaniamo uno degli unici 3 stati al mondo col bicameralismo perfetto (assieme al Marocco e al Sud Africa) e ignoriamo la richiesta che viene anche dall’UE di una camera che rappresenti le autonomie regionali, ci continuiamo a sobbarcare una struttura come quella del Senato così come attualmente concepita, che oltre ad esser costosa non è altro che il doppione di un organo già esistente, quello della Camera dei deputati.
Le ragioni storiche che spinsero alla scelta del bicameralismo, ovvero una elaborazione più approfondita del testo delle leggi hanno dimostrato nel tempo i loro difetti e i loro costi, è giunto quindi il momento di aver e il coraggio di superarle.
Un capitolo a se merita la riforma della giustizia: La sfiducia nella giustizia non è causata dalla politica di questo o quello schieramento ma dalle eterne opposizioni delle corporazioni ad ogni serio tentativo di riforma.
La separazione delle funzioni tra pubblico ministero e giudice è un atto di equità: il giudice diventa finalmente terzo, il pubblico ministero (accusa) sullo stesso piano dell’avvocato (difesa), rendendo così il processo un confronto alla pari tra parti dello stesso livello.
Si deve evitare che chi oggi è pm, cioè rappresentante della pubblica accusa, si trovi il giorno dopo a diventare giudice. I due percorsi in carriera devono per forza essere diversi.
La formazione dei giudici e dei pm deve essere diversa, così come la loro inclinazione professionale. Chi ha avuto compiti di indagine non può trovarsi in un attimo a passare a competenze giudicanti, e viceversa. Rendendo autonoma l’azione disciplinare e tipicizzando (cioè specificando) gli illeciti disciplinari si fa sì che il magistrato che sbaglia sia giudicato sulla base di precise responsabilità, con punizioni certe e stabilite per legge. Si evitano così difese corporative da parte del Csm che nel corso degli anni non ha fatto che assolvere magistrati finiti sotto il processo disciplinare.
L’avanzamento in carriera dei magistrati non deve essere possibile solo per anzianità, ma anche per meriti di concorso, facendo in modo che si facciano strada i migliori magistrati in circolazione, con particolare riferimento alle giovani leve.
Una tal riforma ridimenzionerebbe inoltre il drammatico problema della lunghezza dei processi, che ha creato situazioni paradossali e lungaggini incresciose.
Necessaria è infine la riorganizzazione delle procure per un miglioramento fondamentale della giustizia in uno dei suoi aspetti fondamentali: il procuratore capo sarà l’unico titolare dell’azione penale e l’unico a poter avere rapporti diretti con i mass media. Si eviteranno così quelle esternazioni di magistrati che in questi anni hanno invelenito il clima politico del Paese.
La nuova Costituzione non dovrebbe avere la pretesa di essere perfetta né intangibile ma dovrebbe proporsi come embrione di un nuovo modello di sviluppo, di nuove relazioni sociali , un passo in avanti verso la società che vogliamo, una società equilibrata che tenga conto delle differenze, e che non dia spazio solo al più forte”.