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“In viaggio con Pinocchio” è la personale dell’artista Franco Marconcini (Piombino 1938 – Pisa marzo 2019) che sarà inaugurata sabato 8 giugno, alle 17.30, al Parco di Pinocchio (Collodi – PT).

A pochi mesi dalla scomparsa dell’artista, l’esposizione è stata curata dal critico d’arte Nicola Micieli e promossa dal presidente della Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Pier Francesco Bernacchi.

Sono esposti 24 quadri del pittore, affiancati da altre opere di Marconcini: i bastoni e le bottiglie dipinte, ispirate anch’esse al celebre burattino. La mostra si potrà visitare tutti i giorni fino a domenica 14 luglio (orario 9-19).

Il viaggio di Marconcini e Pinocchio inizia nel 2008, un incontro e un cammino descritto dal curatore Nicola Micieli: “In uno dei numerosi dipinti che da qualche tempo Franco Marconcini andava realizzando sotto specie di iperboliche sintesi urbane, sorta di album cartografico composto da compendi di città immaginarie, fantasiose come ircocervi, che direi postmoderni, per come si incrociano stilemi antichi e moderni, compariva inopinatamente nientemeno che Pinocchio. Il pittore lo aveva certo voluto sulla scena, sia pure ai margini. Ma per me che per primo, credo, lo vidi e dissi subito che meritava più numerose ribalte, e per Marconcini che lo aveva dipinto, fu una sorpresa. Colpiva il suo modo singolare di presentarsi perfettamente delineato, affacciandosi e sbirciando da dietro le quinte. Come a chiedere di avanzare, già personaggio alla prima chiamata, nel dipinto ad acrilico su intonaco che Marconcini, difatti, non aveva mancato di dedicargli. Parlo di Pinocchio e la città, l’opera che apre l’iconografia di queste pagine. È il primo dipinto – anche se a posteriori, per distrazione, Marconcini lo siglava terzo – dei tre intitolati alla città, appunto, più un quarto, Lo stupore di Pinocchio, che realizzava nel giro di pochi mesi, oggi tutti nella raccolta della Fondazione Collodi.
In esordio, Marconcini non poteva sospettare che Pinocchio avrebbe finito per occuparla da protagonista, la scena. Il celebre burattino – ma per Marconcini era una marionetta, se in tre dipinti del piccolo ciclo fili tesi dall’alto lo mettono in azione – era stato chiamato per gioco, a modo di capriccio. Non diversamente dalle maschere antropomorfe e dalle ipertrofiche figurine qua e là incastrate nelle labirintiche partiture delle città. O anche tese, le figure, nel tentativo di svincolarsi, o addirittura in fuga come le sinuose strade che adducono alla città, quando Marconcini le traccia sempre spazialmente orientandole alla verticalità.
È difatti stringente e induce un senso d’assedio il cumulo dei morfemi più o meno geometrici e ondulari e degli iconogrammi organizzati con un décor a tarsia in alzati cubisti a intersezione e ribaltamenti dei piani e dei volumi. Sono riduzioni formali di case e torri, reperti archeologici e arredi architettonici di diversa assegnazione d’epoca e cultura, figure e patterns della geometria e oggetti da studio pittorico, sintesi simboliche di macchine e meccanismi d’aria e di terra come di aspetti e fenomeni della natura. Mi viene da pensare al repertorio degli oggetti silenti che stanno nelle stanze metafisiche di De Chirico e di Carrà, come dire i “materiali” formali del laboratorio del pittore/poeta che di volta in volta entrano nel dipinto a comporre la scena. Solo che Marconcini li spende tutti, in uno, come scena cartografica delle sue città.
Un tassello tra gli altri della tarsia urbana, dunque, doveva essere il primo Pinocchio. Sennonché, nemmeno il tempo di scorgerlo, incastonato e come mimetizzato nel prospetto cubista della bizzarra città nella quale si rivelava, parendo anzi d’essere generato da essa, subito lo si avvertiva capace di tenere la scena da protagonista. Come l’avesse sempre abitata. Al pari delle arcaiche figure, per lo più ancillari, che intorno alla metà degli anni Ottanta cominciarono a popolare i luoghi naturali, le spiagge e le scogliere, le colline e le radure alberate e più raramente gli spazi in interno della seconda stagione pittorica di Marconcini, durata sino alla scomparsa dell’artista, lo scorso marzo. Stagione nella quale Marconcini risolveva, nella conquistata scioltezza e autonomia del linguaggio che non teme di dichiarare le proprie fonti, il suo interesse formativo alle lezioni prima di tutto di Cézanne, quindi del cubismo e di Picasso, di un certo Léger…
Quelle figure che abbiamo detto arcaiche, perché evocative di una originarietà antimoderna, erano presenze solari mediterranee formalmente contigue alla plastica morfologia del paesaggio che le accoglieva – assise o distese o astanti che fossero – comunque espansive nella loro pienezza vitale. In versione lineare e decorativa, nel seguito degli anni e alternandosi alle precedenti, Marconcini le concepiva egualmente quali figure mediterranee e maschere di figure dipinte o come graffite in paramenti vagamente tribali, qui esemplificati con una splendida scelta di bottiglie dipinte, alcune visitate da Pinocchio, con la leggerezza preziosa degli smalti giocati sulla trasparenza. Sovente, poi, dipingeva maschere e figure assieme a oggetti che in certo modo le assimilavano alle composite, vertiginose “nature morte” eseguite numerose allo scorcio degli anni Novanta, e oltre.
Incrociato dunque Pinocchio nel 2008, e subito assunto a protagonista di un primo nucleo di dipinti, Marconcini lo ha ripreso nel 2013 ed ha chiuso lo scorso anno la serie che ora, intitolato In viaggio con Pinocchio, presento nella Sala del Grillo di casa Pinocchio, il parco che a Collodi lo ricorda con le testimonianze creative, il racconto per immagini delle sue avventure e del suo personaggio cui hanno posto mano tanti artisti. Devo dire che con Pinocchio, e per la destinazione espositiva delle opere nella casa-parco di Collodi, che avevamo previsto sin dalle prime battute dell’impresa, Marconcini aveva finito col mettersi realmente in viaggio, on the road con il burattino. Nel senso che per la prima volta si faceva luogo di azioni e incipit di possibili storie, dunque potenziale narrazione, la sua pittura nella quale l’idea del movimento era sin là coincisa con la dinamica strutturale ed plastica delle forme. Né mai Marconcini aveva mai reso le evidenze ambientali, le figure e gli oggetti delle sue apparecchiature sceniche, portatrici di significati altri dai sensi loro tramite suscitati nell’osservatore, ma non traducibili in ipotesi narrative.
Nel personaggio Pinocchio che si svincola dalle maglie stringenti della città caos, come Marconcini la chiama in un dipinto del 2015, il pittore si affida in delega al personaggio Pinocchio. Lo prende a prestito e pretesto dal libro di Collodi, ma delle avventurose vicende nelle quali il burattino si lascia coinvolgere, non v’è cenno alcuno nelle pagine figurate della pittura. Vi sono invece registrati come in proiezione sullo schermo dell’alter ego Pinocchio, da Marconcini suggeriti agli osservatori dai sensi affinati e dall’intelligenza intuitiva, non pochi suoi umori, flessioni dell’animo, inclinazioni contemplative, poetici transfert. Persino risposte emotive ad accadimenti esterni, come nel caso del disastroso terremoto che nel 2006 colpì il Centro Italia. Marconcini gli dedica due dipinti che intitola appunto 30 – 10 – 2006, la data del sisma, e sono in perfetta chiave con lo spirito allarmante delle caotiche sue città.
Le quali arretrano come sfondi degli ambienti e delle strade ove si compie il viaggio di Pinocchio/Marconcini, e si dà il caso che in un canto di una di quelle strade il burattino scorga, poggiati a terra e aperti i libri che forse potrebbero servirgli come viatico al faticoso percorso della crescita tra le asperità della vita. Spesso anzi spariscono sostituiti da altri paesaggi o addirittura da un fondale uniforme, un profondo cielo notturno che porta la luce della luna, oggetto del desiderio al quale si specchia un Pinocchio “lunare” appunto, il braccio teso al corpo celeste invisibile. E ricorre più di ogni altra presenza, la luna, cinque volte visibile e spesso manovratrice dei fili che muovono Pinocchio sulla scena del teatrino del mondo. Pinocchio che la cavalca, che implora, che si incontra con la propria ombra da essa proiettata, che vaga nella notte ed ha alle proprie spalle l’oblò della luce salvifica.
Queste ed altre le illuminazioni del piccolo ciclo pittorico che Marconcini aveva realizzato mettendosi in viaggio con Pinocchio e che avrebbe dovuto mostrare a Collodi mostrandosi con i dipinti. Desiderava anche esporre gli otto bastoni da lui decorati, dei molti che da tempo mi diverto a intagliare negli inserti di tempo che dedico a me, ed è una pratica che favorisce la concentrazione e la riflessione. Come il cammino in solitario su una strada del vasto mondo, che può essere poi anche assai prossima al pezzetto di mondo intorno alla tua casa. Il bastone è allora un compagno di viaggio eccezionale. Per questa ragione Marconcini mi voleva accanto a sé in mostra, con i miei bastoni visitati dai suoi decori. Ho rispettato il suo desiderio, ordinando la mostra qui documentata, che andrà in scena a Collodi, sabato otto giugno, presente in ispirito l’artista scomparso. La notte, amico Franco, impugnerò un bastone e guarderò la luna”.
Per informazioni: www.pinocchio.it – 0572429342 – parcodipinocchio@pinocchio.it

FRANCO MARCONCINI – IN VIAGGIO CON PINOCCHIO
Curatore Nicola Micieli
Sala del Grillo – Parco di Pinocchio
VERNISSAGE: SABATO 8 GIUGNO 2019, ORE 17.30
MOSTRA: 9 giugno – 14 luglio 2019
ORARIO: aperta tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00
DOVE: Parco di Pinocchio, via San Gennaro 5 – 51012 COLLODI (Pescia – PT)
INFO BIGLIETTI: www.pinocchio.it – 0572 429342


Adele Tasselli
Fondazione Nazionale Carlo Collodi

Comunicato Stampa