L’emergenza pugliese, dove la Xylella continua a fa passare notti in bianco a tanti olivicoltori, aguzza l’ingegno di molti addetti ai lavori, per venire a capo di un problema che potrebbe condizionare il futuro di un comparto, quello dell’olio italiano, che sta andando alla grande non solo sul mercato nazionale, ma anche su quelli d’oltre confine, a partire da quello americano.
Qualche spiraglio sembra aprirsi, da quanto abbiamo appreso dal recente convegno organizzato a Pisa dalla SOI, la Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana.
Sappiamo, appunto, che dopo tante osservazioni in campo e in laboratorio, i ricercatori, soprattutto pugliesi (Programma Horizon 2020, coordinato dal CNR-IPSP di Bari), hanno segnato una prima mèta. E’ stato riscontrato, come tutti ormai sanno, che ci sono alcune varietà di olivo, per ora due, per la precisione, che dimostrerebbero possedere una bassa suscettibilità (“interessanti tratti di resistenza”, si legge) alla Xylella. Sono il “magnifico” Leccino e la Favolosa FS17, una cultivar brevettata dal CNR (prof. Fontanazza), originata da una libera impollinazione del Frantoio.
Le pubblicazioni sull’argomento indicano una bassa concentrazione del batterio nella pianta rispetto ad altre cultivar risultate suscettibili. Ovviamente si parla di bassa suscettibilità e non di immunità (no olive free); la concentrazione del batterio risulta costantemente contenuta tra l’1 e il 2% della concentrazione rilevata nei controlli con suscettibilità elevata.
Al momento non esiste nessun altro elemento disponibile che possa distinguere le reazioni alla Xylella di una pianta (o un clone) dall’altra. Lo sapremo fra qualche anno.
Questo è quanto si sa, dicono al CORIPRO-OLIVI DI PESCIA, il Consorzio per la certificazione volontaria per le piante di olivo, che s’impegna da quasi mezzo secolo per qualificare la produzione olivicola del territorio, dove il Leccino insieme al Frantoio sono stati selezionati con cura certosina.
Abbiamo centinaia e centinaia, forse migliaia, di piante di Leccino – dichiarano al Coripro – selezionate dai nostri vivaisti e confermate nei decenni grazie al consenso di innumerevoli olivicoltori, sparsi in tutta la fascia dell’olivo del pianeta. Tutti Leccini partiti da Pescia.
Ma, ci si chiede soprattutto in questo periodo, c’è un Leccino o un clone di Leccino migliore di altri?
Anche qui, come nel caso della Xylella, l’olivicoltore accorto deve attenersi ai dati oggettivi. Scientifici. Senza farsi prendere da suggestioni roboanti. E come nel caso dell’attuale stato dell’arte della ricerca pugliese, abbiamo verificato che le differenze fra le caratteristiche di una pianta o di un’altra sono poco significative.
Il Leccino è uno, unico, questo sembra certo ad oggi. Come il Frantoio, ha origine in Toscana, in particolare nella provincia di Pistoia (hills near Pistoia). A Pescia è propagato da oltre un secolo. Da piante di Leccino collezionate a Pescia e in altre parti della Toscana è stato possibile dimostrare quanto bassa è la variabilità tra le piante (accessioni) utilizzando caratteri morfologici agronomici e molecolari. Nel 2006 sono stati presentati ad un convegno scientifico i risultati di una ricerca durata dieci anni, nella quale furono messe a confronto una ventina di accessioni di Leccino di diverse parti della Toscana, anche accessioni pesciatine, ovviamente. Le minime differenze riscontrate, però, non erano supportate anche da differenze nei marcatori molecolari.
Ebbene, anche i risultati di questa ricerca, alla quale stanno per aggiungersi altri dati, potrebbero indurci a pensare che uno vale l’altro. O quasi. I marcatori molecolari fin qui utilizzati e con ovviamente le metodiche di oggi (RAPD, SSR, Proteine di riserva), indicano che non sono completamente uguali, con l’impossibilità attuale di risalire da questi ai caratteri diversi espressi dalle piante. Infatti, i caratteri identificabili tra i morfologici ed agronomici, si potrebbero annullare o esaltare a seconda di dove e come (terreno, clima, orientamento), la nuova pianta viene collocata. Pertanto, non si dimentichi mai che esiste per tutte le piante un adattamento all’ambiente in cui vengono impiantate e quindi potrebbero manifestare caratteri leggermente diversi da quelli di partenza.
Insomma, il Leccino, in genere, segnala una consistente omogeneità in Toscana, conseguente ad una origine comune. Alcune fra le accessioni messe a confronto fortunatamente fanno parte del patrimonio del vivaismo olivicolo di Pescia, che ha saputo conservarle nel tempo e valorizzarle nei propri vivai.
Consorzio CO.RI.PRO.
Comunicato stampa