Riceviamo dal prof.Carlo Vivaldi-Forti, presidente del Circolo pesciatino Destra Domani, questo interessante contributo sulla partecipazione che pubblichiamo integralmente :
“l termine partecipazione , usato e abusato ai nostri giorni, richiede alcune precisazioni. Similmente al compianto Giorgio Gaber nel suo celebre canto sulla libertà, anch’io inizierò col sottolineare ciò che la partecipazione non è: non è prender parte a una riunione di condominio e litigare con i vicini di casa; non è mostrarsi attivi nelle assemblee di quartiere e neppure in quelle del proprio partito, per chi vi è iscritto, ovvero militare negli organismi interni della scuola. Intendiamoci, partecipare può anche voler dire compiere tutte queste azioni e molte altre, ma se il significato del verbo si limitasse a ciò , davvero si ridurrebbe a poca cosa. Invece, la partecipazione si prospetta oggi come il solo atto rivoluzionario capace di gettare le fondamenta di un diverso modo di convivere e collaborare , di una società nuova o , sarebbe più esatto dire , di una vera comunità umana.
In tal senso perfino i padri costituenti del 1948, non certo molto inclini a decisioni avveniristiche , hanno incluso questo termine in almeno tre articoli della nostra Legge fondamentale, ovviamente mai applicati, come tutte le disposizioni sgradite ai poteri forti e ai loro mandatari. Recita infatti l’articolo 3 : E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che , limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Osserva giustamente Pier Luigi Zampetti nel suo saggio La società partecipativa , ( Dino editore, Roma 2002) , che la classe politica ha dato vita, nel corso degli anni, ad una sorta di Costituzione parallela, di fatto l’opposto di quella palese, ove molte disposizioni si sono trasformate nel loro contrario. Nel seguente modo, secondo lui, si deve effettivamente leggere l’articolo 3 , alla luce dell’esperienza storica: La Repubblica consolida ed aumenta gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e che impediscono qualsivoglia sviluppo della persona umana, negando l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica e sociale del Paese.
Ma le inadempienze dei politici nei confronti di quella che molti di loro definiscono , con spudorata ipocrisia, la Costituzione più bella del mondo , non si fermano qui. Cosa ne è stato dopo 68 anni dell’articolo 46 : Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione , la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge alla gestione delle aziende? O dell’articolo 47: La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme , disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione , alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese ?
Quanto al primo degli articoli citati, esso è rimasto lettera morta. I vari compromessi storici, larghe intese e governi tecnici che si sono succeduti sia nella Prima che nella Seconda Repubblica, motivati da ripetute, terrificanti emergenze quasi sempre volute e pilotate dai poteri forti per asservire lo Stato ai propri interessi, hanno favorito il coalizzarsi di potentati economici e finanziari, governi, partiti e sindacati di ogni tendenza, intorno alla difesa dell’esistente, sbarrando la strada a qualsiasi vero cambiamento. Se poi esaminiamo il secondo ci viene da ridere, o per meglio dire da piangere. Non soltanto la repubblica non ha tutelato il risparmio in tutte le sue forme, ma ha sistematicamente derubato i risparmiatori mediante ipocrisie legali e trucchi tra i più indegni: inflazione a due cifre, tassazione sopra al 60% , persecuzione degli investimenti nella casa e nella terra , patrimoniali sia sulla ricchezza immobiliare che su quella liquida delle famiglie, che rappresentano vere e proprie rapine a mano armata, a cui si vorrebbe dare un crisma di legalità soltanto perché approvate da un Parlamento nominalmente eletto dal popolo.
E qui arriviamo al vero nocciolo della concezione partecipativa: chi e cosa rappresentano in realtà le due attuali Camere? Nient’altro che liste elettorali imposte dalle segreterie dei partiti, e questo, sia chiaro, indipendentemente dal Porcellum. Anche prima, infatti, esse erano formate dai signori delle tessere, cioè da quei potentati interni ai movimenti politici, strettamente collegati con i loro finanziatori occulti ed esterni. Cambiare la legge elettorale è di certo opportuno per rendere più agevole la governabilità, ma quanto ad assicurare la sovranità del popolo, non scherziamo! Ben altre riforme si rendono necessarie a tale scopo, con mutamenti così profondi e radicali nelle strutture della società e dello Stato, da assumere i connotati della più grande rivoluzione mai conosciuta nella storia dell’Occidente, in paragone alla quale quelle del 1789 e del 1917 divengono giochi da ragazzi. Il dato di fatto da cui prende avvio il nostro ragionamento è la totale desovranizzazione del popolo , che solamente una beffa giuridica può considerare ancora artefice del proprio destino, come vuole l’articolo 1 della Costituzione. Le lobby finanziarie interne ed internazionali , infatti, controllano in modo così immediato e diretto le Camere, da obbligare partiti d’ispirazione diversissima tra loro a formare un solo blocco di governo, considerato inamovibile pena l’incombere di chissà quali cataclismi. Questa strategia appare decisamente ammarcita, ben più che invecchiata, e le patetiche giaculatorie dei vari leader di sedicente destra e di sedicente sinistra, non ingannano più neppure i gatti di Vicolo Miracoli. L’Italia di oggi è la plastica raffigurazione di quel pensiero unico, tipico dell’uomo a una dimensione di cui scriveva Marcuse già 60 anni or sono, effetto immediato della cosiddetta morte delle ideologie, definizione sociologica dietro la quale si cela la svendita dei propri valori fondanti, da parte della classe politica, ai ricattatori e ai delinquenti che manovrano la finanza globale.
La mancata attuazione degli articoli più significativi della nostra Legge fondamentale deriva di sicuro da questo vergognoso mercimonio fra politica e finanza, ma anche dal fatto che la sovranità popolare trova oggi nella rappresentanza partitica la sua unica e purtroppo molto debole tutela. La recessione economica in atto, al tempo stesso causa ed effetto del declino del Paese, non sarà mai superata finché non si adotterà la sola cura efficace, e cioè la trasformazione dello Stato rappresentativo in Stato partecipativo. Soltanto un equilibrato insieme di istituzioni rappresentative e partecipative elette direttamente dal popolo , nella concreta realtà delle sue competenze e categorie sociali, senza l’intermediazione di partiti o di professionisti della politica, può guarire una società così profondamente malata. Le riforme a ciò indispensabili le ho già indicate in molti precedenti scritti , parte dei quali pubblicati nel materiale documentario del CESI, ai quali rinvio chi desiderasse approfondire il tema. Ciò che conta è sviluppare tutti insieme una precisa volontà di rinascita e di riscatto, alla quale il solo nome coerente che riesco a dare è Rivoluzione. Mi auguro , s’intende, non violenta ed esclusivamente culturale.
Un ‘ultima, esplicita nota meritano le proposte di riforma istituzionale avanzate dai cosiddetti Saggi. Non soltanto , infatti, le soluzioni tecniche appaiono niente più che aspirine assolutamente incapaci a curare la polmonite doppia del Paese, ma si configurano così lontane dalla drammatica realtà attuale, da ricordare l’estremo respiro di un moribondo. Chi le ha concepite non si è accorto, come Maramaldo, di andare combattendo ed esser morto . Il loro patetico sussulto di fantasmi che provengono da un mondo ormai condannato dalla storia , anche se ancora resiste perché fino ad oggi non è emerso il becchino che lo sotterri, somiglia come una goccia d’acqua ai sogni dei futurologi che nella Russia comunista degli anni ’60 e ’70 antevedevano un progressivo e glorioso destino per il loro Paese. Così conclude Andrej Amalrik il suo magistrale saggio Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?, ( Coines edizioni , Roma 1971):
Se la futurologia fosse esistita nella Roma imperiale , dove già si costruivano case a sei piani e i bambini avevano trottole messe in moto dal vapore, i futurologi del secolo V avrebbero predetto per quello seguente la costruzione di case a venti piani e l’impiego industriale delle macchine a vapore. Sappiamo invece che le capre pascolavano nel Fòro , nel secolo VI: esattamente come oggi, sotto le mie finestre , nel mio villaggio!
Italiani di tutte le tendenze politiche e di tutte le categorie sociali: aprite gli occhi , prima che sia troppo tardi!”
Comunicato stampa